Pubblichiamo l'intervista a Nabel Rajab, presidente del Centro per i diritti umani in Bahrain, apparsa ieri sui principali quotidiani italiani ed internazionali.
"Così la Formula Uno diventa lo sport dei dittatori", accusa Nabeel Rajab, presidente del Centro per i diritti umani in Bahrain. "Dove ci sono regimi oppressivi e non democratici, i grandi eventi servono a rompere l’isolamento internazionale e offrire al mondo l’idea che la situazione politica è tranquilla".
Da mesi Rajab chiede ai piloti, alle scuderie a a tutto il Circus della Formula Uno di non disputare il Gran Premio in programma il prossimo 22 aprile a Sakhir.
E’ stata istituita la legge marziale?
"Niente di ufficiale, c’è una legge marziale non scritta, non dichiarata."
Com’è evoluta la situazione negli ultimi giorni?
"Qui [in Bahrain - ndr] si manifesta ormai da 15 mesi consecutivi. Ma negli ultimi giorni abbiamo assisitito a violente sparatorie, rastrellamente preventivi della polizia, a torture in carcere. Quasi quotidianamente ci sono feriti anche gravi in ospedale e posti di blocco ovunque."
Sabato [14 aprile - ndr] è arrivata la conferma che il Gran premio si correrà lo stesso.
"Sì, purtroppo l'ho sentito. Da allora il quadro è peggiorato, siamo in uno stato di emergenza. I palazzi delle istituzioni sono presidiati dalla polizia e la città di Manama è circondata da check point dell'esercito. Solo ieri sono state arrestate 1.000 persone."
Che cosa ha pensato quando l’ha saputo?
"Sono rimasto deluso. La gente del Bahrain sta soffrendo e muore per ottenere un minimo di libertà e democrazia. Siamo tristi perché la Formula Uno, Eccelestone e la FIA si sono schierate dalla parte del Governo e della famiglia reale Al Khalifa, costruendosi intorno un’immagine collegata alla dittatura".
Non crede che lo sport debba restare separato dalla politica?
"Questo discorso vale in Europa, negli Stati Uniti e in tutti i Paesi democratici. Negli Stati totalitari lo sport è un modo per uscire dall’isolamento e sviluppare le relazioni internazionali. Da noi c’è una famiglia che è a capo della politica, dell’economia, dello sport e decide qualunque cosa: ha bisogno di voi."
Lei critica il regime senza censure: perché glielo consentirebbero?
"Sono un’eccezione, una mosca bianca. Adesso non mi toccano perché la mia attività in difesa dei diritti civili è ad alto profilo internazionale, ma molti rappresentanti della nostra organizzazione sono stati torturati e si trovano in prigione".
Secondo lei la Formula Uno sarà presa di mira e coinvolta in episodi violenti?
"No, non penso proprio."
Durante la settimana avete in programma iniziative per diffondere le vostre ragioni? "Organizzeremo eventi ogni giorno. L’importante è che voi usciate dai palazzi della Formula Uno e andiate a visitare i villaggi, i paesini. Sono pronto a organizzare un pullman. Vi renderete conto di come è stata la repressione al di fuori della capitale."
È esattamente ciò che ci è stato raccomandato di evitare.
"Non vi dovete preoccupare. La gente nei villaggi vuol bene agli stranieri."
Forse la polizia non ama gli stranieri che vanno nei villaggi.
"Nessuno ha intenzione di uccidervi o farvi del male, né i civili né i poliziotti."
Non si è mai parlato così tanto del Bahrain.
"Sì, è l’unico aspettato positivo: siamo entrati nell’agenda internazionale."