Amarcord

LUCA BADOER, UNA VITA DA MEDIANO
lunedì 16 luglio 2012

Luca Badoer nasce a Montebelluna il 25 gennaio 1971. A quattordici anni debutta nei go-kart e diventa subito campione regionale. Nei due anni successivi si laurea campione nazionale nelle categorie 100cc e Super100cc.
Passa alla Formula 3 nel 1989, nel 1990 ottiene a Vallelunga la sua prima vittoria battendo Roberto Colciago e Alessandro Zanardi e nel 1991 ottiene altre 3 vittorie. 
Nel 1992 cambia categoria e corre in Formula 3000 diventando campione a bordo di una Reynard 92D-Cosworth, battendo piloti come Rubens Barrichello, Olivier Panis, David Coulthard, Andrea Montermini, Jean-Marc Gounon ed Emanuele Naspetti.
Pur dimostrando grandi qualità non è mai riuscito a salire sul treno giusto al momento giusto e allo stato attuale detiene il record di pilota che in assoluto ha corso più Gran Premi [51 – ndr] senza mai andare a punti.
Debutta in Formula Uno nel 1993, a soli 22 anni, al volante della Lola T93/30 Ferrari riuscendo a stare davanti in diverse occasioni al suo compagno di squadra, Michele Alboreto. Ottiene un settimo posto a Imola come miglior risultato dell’anno.
Nel 1994 diventa collaudatore della Minardi dove vi rimane anche l’anno successivo quando viene promosso pilota titolare al fianco di Pierluigi Martini e Pedro Lamy. I suoi migliori risultati sono due ottavi posti in Ungheria e Canada.
L’anno successivo emigra alla Forti ma la scelta non è delle migliori. Pur riuscendo a battere il compagno di squadra Andrea Montermini non riesce ad andare oltre il decimo posto come miglior risultato stagionale.
Nel 1997 viene ingaggiato dalla Ferrari per sostituire Nicola Larini come collaudatore, ruolo che ricopre fino al 2010. 
Il ritorno in Formula Uno avviene con la Minardi nel 1999. Ma anche questa stagione si rivela arida di soddisfazioni e decide di chiudere con il Circus. Una svolta alla sua carriera potrebbe darla l'incidente occorso a Michael Schumacher al Gran Premio di Gran Bretagna, ma la Scuderia Ferrari sceglie come sostituto il finlandese Mika Salo invece di promuovere a prima guida il collaudatore veneto, sorprendendo tutti gli addetti ai lavori.
Il grave incidente dii Felipe Massa in occasione del Gran Premio  d'Ungheria 2009 [e il gran rifiuto di Michael Schumacher di rimpiazzarlo nelle restanti gare della stagione – ndr] costringe i vertici di Maranello a rivolgersi a Luca per il proseguimento della stagione ma dopo due Gran Premi deludenti (17° a Valencia e 14° in Belgio) viene deciso di ingaggiare Giancarlo Fisichella prelevandolo dalla Force India.
Dal 1999 al 2010 ha accumulato 131.944 km di test, pari a 31.374 giri in 469 giorni di lavoro, quasi il doppio dei km percorsi da Rubens Barrichello, che con 67.891 detiene il record assoluto in carriera nei gran premi.
Alla fine del 2010 termina anche il suo compito come tester in Ferrari.


ANDREA DE CESARIS, IL MANDINGO DI ROMA
venerdì 29 giugno 2012

Andrea De Cesaris nasce  a Roma il 31 maggio 1959 era soprannominato “Mandingo” nel paddock e “Andrea De Crasheris” dalla stampa inglese per i tanti incidenti in cui spesso incappava.
Nel 1976 il pilota romano si aggiudica il Campionato Mondiale Juniores di Kart e il Campionato Nazionale classe 125 cc. De Cesaris venne presto notato dalla Marlboro, Multinazionale del Tabacco, che gli permette di continuare a gareggiare nelle categorie successive. Si recò, ventenne, in Inghilterra, dove giunse secondo nel Campionato di Formula Vandervell 1979 aggiudicandosi sei gare alla guida della March-Toyota. L’anno seguente, il pilota romano si classificò al quinto posto nella categoria Euro Formula 2.
Nel 1980 fece il suo in Formula Uno dove vi rimase per quindici stagioni fino al 1994. Durante la sua carriera ha corso per un gran numero di squadre, tra cui Alfa Romeo, a cui sono legati i suoi migliori risultati, McLaren, Ligier, Minardi, Brabham, Rial, Scuderia Italia, Jordan, Tyrrell e Sauber.
Nei 208 Gran Premi disputati ha ottenuto una pole position, cinque podi, un giro più veloce e 59 punti iridati.
Debutta nella penultima gara della stagione 1980, in Canada, al volante della modesta Alfa Romeo al posto dell'esperto Vittorio Brambilla. Nella stagione successiva viene ingaggiato dalla McLaren al fianco di John Watson, ma l'avventura non è delle migliori [un solo punto conquistato, al Gran Premio di San Marino – ndr].
Nel 1982 rientra alla Alfa Romeo, ottenendo buoni risultati nell'arco delle due stagioni disputate con il team italiano, tra i quali spiccano i due secondi posti al Gran Premio del Sud Africa e al Gran Premio di Germania del 1983, chiudendo all'ottavo posto nel campionato del mondo. 
Nel 1984 il passaggio alla Ligier, per due stagioni, all'ombra dei più titolati compagni Francois Hesnault, nel 1984, e Jacques Laffite, nel 1985. Da allora, ingaggi in scuderie di secondo piano hanno ostacolato il grande talento del pilota romano, che ha guidato la Minardi-Motori Moderni nel 1986, la Brabham-BMW nel 1987, la modesta Rial nel 1988, con la quale ha ottenuto un miracoloso quarto posto al Gran Premio degli Stati Uniti.
Nel 1989 De Cesaris passa alla BMS Dallara, con la quale disputa due stagioni sfortunate, ingabbiato a metà schieramento, complice una vettura non troppo competitiva ne affidabile. 
Nel 1991 si registra il passaggio alla debuttante Jordan motorizzata Ford, dove finalmente De Cesaris può lottare per le zone medio-alte della classifica, grazie a questa macchina veloce e affidabile, al di là delle più rosee aspettative. Le buone prestazioni, però, non valgono la riconferma del romano, che nel 1992 si accasa alla ormai decaduta Tyrrell, con la quale disputa una buona prima stagione, per poi ottenere risultati disastrosi nella stagione successiva. 
Deciso ormai al ritiro dalla Formula Uno, nel 1994 arriva di nuovo la chiamata della Jordan, solo a titolo temporaneo, per sostituire nelle due gare successive lo squalificato Eddie Irvine.
Dopo la seconda avventura con il team irlandese, impreziosita da un quarto posto conseguito a Montecarlo, arriva la chiamata della Sauber (in seguito al grave incidente accaduto a Montecarlo a Wendlinger), con la quale disputa nove gare e chiude la carriera in F1, diventando uno dei pochi piloti ad aver superato i 200 GP disputati.


STEFAN BELLOF, UN CAMPIONE MORTO SUL NASCERE
sabato 02 giugno 2012

Stefan Bellof è nato a Giessen, all’epoca Germania Ovest il 20 novembre 1957. Cominciò la sua carriera a 16 anni sui kart vincendo diversi titoli nazionali tedeschi.

Nel 1980 debuttò in Formula Ford Nazionale 1600 vincendo al primo tentativo, a 23 anni e nell’anno seguente vinse l’edizione internazionale. Nello stesso anno riuscì a strappare un volante in Formula 3 con la Ralt Rt3 per le ultime sette gare del campionato. Anche qui come in tutte le altre categorie vinse subito. Tre vittorie in sette gare.

Nel 1982 c’è un altro salto di categoria. Il team Maurer-Bmw gli offre un contratto in Formula 2. Qui vinse subito al debutto sotto la pioggia a Silverstone e anche la gara successiva ad Hockenheim.

Approfittando della pausa estiva della Formula 2, debutta anche nelle gare riservate alle sportprototipo, partecipando col il team Kremer alla gara ad Hockenheim e alla 1000 km di Spa. La Rothmans, che aveva già notato le potenzialità di Stefan, decise d’inserirlo per la stagione 1983 nella squadra ufficiale Rothmans Porsche in coppia col più esperto Derek Bell. La fiducia fu immediatamente ricambiata con 4 pole position e 4 giri più veloci e 3 vittorie alle 1.000 km Silverstone, Fuji e Kyalami.

All’ultima gara della serie, sul circuito del Nürburgring [quello vero da 20.832 metri – ndr], Bellof mostrò le sue doti di campione facendo segnare il miglior tempo ufficioso in 6’11’’130, rimasto ancora oggi imbattuto.
Durante il 1983 Bellof ebbe anche la possibilità di fare alcuni test a Silverstone con la McLaren in compagnia di un altro giovanissimo campione chiamato Ayrton Senna e a Martin Brundle. I tre futuri piloti della massima serie riescono ad impressionare Ron Dennis e la squadra con tempi sul giro di 1'14"300 (Senna), 1'14"660 (Bellof) e 1'14"700 (Brundle), allineati al tempo in qualifica di Lauda nel GP d’Inghilterra di quell’anno (1’14”267) e nettamente migliori del 1’15”609 di John Watson. Anni più tardi si venne a sapere che Stefan aveva avuto a disposizione il meno potente motore Cosworth DFV, al posto del DFY usato da Senna, altrimenti i tempi si sarebbero sicuramente avvicinati.

La Rothmans gli vietò però di passare ad un team di Formula Uno sponsorizzato dalla Marlboro così Bellof fu “esiliato” in un team ricco di storia ma ormai di secondo livello come la Tyrrell.

Nel 1984 Bellof poté quindi correre ancora il mondiale Endurance, ai comandi di una Porsche 956B e con la forte sponsorizzazione della Rothmans, vincendo a Monza, Nurburgring, Spa-Francorchamps, Imola, Fuji e Sandown Park. A fine anno si aggiudicò il Campionato del Mondo Endurance.

In Formula Uno però non andò altrettanto bene. La Tyrrell di Stefan l’unica compagine che montasse ancora il vecchio Ford Cosworth DFY, un aspirato che pagava oltre un centinaio di cavalli ai motori turbocompressi della concorrenza.
Una piccolo miracolo sembrò avvenire a Monaco. La gara partì sotto il diluvio e Bellof, qualificatosi 20, rimontò fino alla tredicesima posizione nel corso del primo giro. Nei giri seguenti inanellò spettacolari sorpassi ai danni di Keke Rosberg e René Arnoux, fino ad arrivare terzo. La gara venne interrotta al 31 giro dal commissario di pista Jacky Ickx prima di aver completato almeno metà della gara, quindi il punteggio assegnato fu dimezzato; per il recupero portentoso di Bellof rimasero solo 2 punti. Due gare dopo, a Montreal, la catastrofe nell’annata di Bellof e della Tyrrell. Le analisi dell’acqua rivelarono pallini di piombo e tracce di idrocarburi; il sospetto era che le monoposto corressero sottopeso. Il team inglese fu squalificato e Bellof perse tutti i risultati ottenuti.

L’anno successivo firmò per il team di Walter Brun nel campionato Endurance, sempre su una Porsche 956. In Formula Uno, sul circuito portoghese dell’Estoril inondato dalla pioggia regalò al suo team un insperato sesto posto, a cui fece seguito un quarto a Detroit, ma i limiti tecnici del datato DFY, e l’incessante crisi economica della scuderia, limitarono di molto le ambizioni del pilota.
Il primo settembre 1985 partecipò alla 1000 km di Spa con la Porsche 956B del Team Brun; in un tentativo di sorpasso al leader della gara Jacky Ickx sulla Porsche 962 ufficiale, che da alcuni giri gli resisteva tenacemente, Bellof affiancò il belga all’Eau Rouge, che lo chiuse nel tentativo d'impostare la traiettoria più facile su una delle curve più pericolose del circuito, il Raidillon. Bellof si schiantò frontalmente, a circa 260 km/h, contro il muretto di cemento all'esterno della curva mentre Ickx, finito in testacoda, colpì il muro con il retro e rimase illeso. L'incendio della Porsche 956 sommato alle gravissime lesioni al torace, alle gambe e alla colonna vertebrale, non lasciarono scampo a Bellof. Trasferito d'urgenza presso l'ospedale di Stavelot, vi arrivò già morto.

Maurer suo team manager ai tempi della F2, dopo la morte di Bellof disse: “Sono certo che sarebbe divenuto Campione del Mondo di F1, in qualche modo e in qualche anno e con qualche macchina. Se solo fosse vissuto abbastanza”. Purtroppo il tempo a volte è realmente tiranno…


ELIO DE ANGELIS, UN TALENTO PERSO TROPPO PRESTO
martedì 15 maggio 2012

Elio De Angelis, nasce a Roma il 26 marzo 1958 da un’agiata famiglia capitolina.

Appassionato di motori fin dall'infanzia, nel 1972 all’età di 14 anni cominciò a guidare i go-kart. Elio oltre la passione ci mette anche la bravura e nel 1976 vince il titolo europeo. Il padre, ricco costruttore e campione di motonautica, visti i brillanti risultati conseguiti dal figlio decide di fargli continuare la carriera da pilota. Gli compra così una Chevron, con la quale corre il campionato di Formula 3, ma a parte la vettura Elio non ricevette più nessun sostegno economico da parte della famiglia.

Nel 1977 De Angelis vince il campionato italiano di categoria e l'anno seguente passa in Formula 2. Nel 1978 vince il Gran Premio di Montecarlo di Formula 3. Questo importante successo gli vale l'interessamento di varie scuderie di Formula Uno, tra cui le inglesi Brabham e Tyrrell.

Con la Tyrrell fu un disastro. Il proprietario Ken, prima gli offrì un contratto e poi si tirò indietro. Andarono così in tribunale ed Elio ne usci vincitore ma senza un volante per la stagione successiva.

Lo sbarco in Formula Uno avvenne nel 1979 con una Shadow.

Nel 1980 passa alla Lotus dove ci resta per 6 stagioni. In quel periodo riesce ad imporsi in due Gran Premi, in Austria nel 1982 e ad Imola tre anni più tardi. Al termine del 1985 però, Elio abbandona il team che gli ha dato tante soddisfazioni per approdare alla Brabham. Nella squadra che era stata creata da Colin Chapman, era arrivato uno nuovo pilota, un certo Ayrton Senna, e Elio aveva capito immediatamente che per lui non ci sarebbe più stato spazio lì.

Arrivato in Brabham per la nuova stagione, si ritrovò come compagno di squadra il connazionale Riccardo Patrese, con cui fino a quel momento non aveva avuto un buon rapporto, ma in seguito instaurò con lui una sincera amicizia. La vettura, progettata dal sudafricano Gordon Murray, però, era un'automobile totalmente nuova e talmente bassa da essere soprannominata "sogliola".

Questa tuttavia si rivelò poco competitiva e non riuscì a riportare la squadra ai livelli dei primi anni ottanta. Nei primi Gran Premi non andò oltre un ottavo posto in Brasile e fu costretto pure a partire ultimo a Monaco. Ciononostante, De Angelis lavorò duramente con il team per contribuire agli sviluppi della macchina. Il pilota, però, era sempre più deluso dalla BT55, ritenendola inoltre poco sicura.

Fu così che si arrivò ai test sul circuito francese del Paul Ricard a Le Castellet. L'alettone posteriore della BT55 si staccò mentre De Angelis procedeva ad alta velocità, facendo perdere stabilità al retrotreno della vettura, che, dopo diversi cappottamenti, finì contro una barriera e prese fuoco. Diversi piloti, tra cui Alan Jones e Nigel Mansell, si fermarono a prestare soccorso ed Alain Prost cercò di estrarre il romano dall'abitacolo nonostante le fiamme, senza riuscirvi.

Soltanto dopo diversi minuti, i commissari e alcuni meccanici, giunti a piedi dai box e privi di tuta ignifuga,riuscirono a tirare fuori il pilota dall'abitacolo. L'elicottero d'emergenza arrivò oltre 30 minuti dopo, poiché era una sessione di test privati e i proprietari del circuito non erano tenuti a prevedere lo stesso dispiegamento di mezzi di soccorso richiesto invece per i Gran Premi. I piloti fanno notare alla Federazione le mancanze. In seguito a questo incidente la FIA impose anche per le sessioni di test i medesimi standard di sicurezza delle gare.

L'impatto non uccise il pilota, ma provocò gravi danni alla testa e il distacco della colonna vertebrale, oltre alla frattura della clavicola e alcune bruciature. De Angelis morì a causa dell'asfissia provocata dal fumo dell'incendio, essendo rimasto intrappolato nell'abitacolo anche a causa della mancata prontezza dei soccorsi e dei vigili del fuoco.

Trasportato all'ospedale di Marsiglia, vi spirò il giorno dopo. Le spoglie del pilota riposano nel Cimitero del Verano, a Roma.

DEREK WARWICK
giovedì 19 aprile 2012


Derek Stanley Arthur Warwick, questo è il suo nome completo, è nato a Alresford in Inghilterra il 27 agosto 1954.

Dopo aver vinto nel 1971 il campionato Superstox Inglese a soli 16 anni, Derek nel 1978 vince anche quello di Formula 3 Inglese.

Warwick  approda così nel 1981 in Formula Uno con la malconcia e poco competitiva Toleman senza riuscire però mai a qualificarsi se non al gran Premio degli Stati Uniti. L’anno successivo non avendo ricevuto altre offerte decise di rimanere con il team inglese. L’unica  soddisfazione dell’anno  fu il giro più veloce in Olanda. Sempre in Toleman nel 1983 Warwick conquistò i primi buoni risultat con nove punti totali, ottenuti tutti nelle ultime quattro gare.

Queste prestazioni gli valsero una chiamata per l'anno successivo dalla Renault. La stagione fu molto buona con la conquista del settimo posto in classifica finale, battendo il compagno di squadra Patrick Tambay, e ottenendo quattro podi in Sud Africa, Blegio, Inghliterra e Germania.

Il 1985 fu invece fortemente negativo, con soli cinque punti conquistati nell’arco dell’intera stagione.

Nel 1986, con il ritiro dalla Formula Uno della Renault, Derek tenta  di trovare posto alla Lotus, ma il suo ingaggio fu fortemente osteggiato dal primo pilota della scuderia, l’astro nascente Ayrton Senna. Decide quindi di correre nella categoria Sport e, con la Jaguar, vince a Silverstone. Ha l'occasione di ritornare nel Circus lo stesso anno quando va a sostituire lo sfortunato pilota italiano Elio De Angelis alla Brabham. L’inglese però, finisce la stagione senza ottenere alcun punto e, per uno soltanto, perde anche il titolo mondiale per vetture Sport.

Nel 1987 il pilota inglese cambiò ancora squadra passando alla Arrows, chiudendo la stagione con tre punti. Rimase nella stessa scuderia per altre due stagioni, nel 1988 conquistò la settima piazza finale e 17 punti, ottenuti grazie a vari piazzamenti mentre nel 1989, Warwick conquistò solamente sette punti.
Nel 1990 passa alla Lotus. La squadra è allo sbando e Derek riesce ad aggiudicarsi solo tre punti nel mondiale così, nei due anni seguenti, decide di correre solo con le Sport. Vince a Silverstone, a Monza ed al Nurburgroing con la TWR Jaguar, poi passa alla Peugot. Con la 905 della casa francese vince ancora a Silverstone, a Suzuka e si aggiudica la prestigiosa 24 ore di Le Mans vincendo anche il titolo mondiale della categoria assieme al francese Yannick Dalmas..

Rientra in Formula Uno nel 1993 alla Footwork. Al termine della stagione, chiusa con quattro punti, decise di ritirarsi dal Circus.

Partecipa ancora al campionato turismo britannico con l'Alfa Romeo, ritorna ancora a Le Mans nel 1997 e nel 1998, poi fonda la sua scuderia: la Triple 8 Race di cui è direttore e di cui si occupa attualmente.

Derek Warwick nella sua carriera ebbe incidenti spettacolari ma per fortuna sempre incruenti.
Quello a Monza, nel corso del primo giro del Gp di Italia del 1990, lo vide sbucare dalla sua Lotus a testa in giù all'uscita della parabolica come se nulla fosse successo dopo un volo di 150 metri e guardarsi intorno come per capire perché tutti lo indicassero come un alieno.

Qualche anno dopo, nel warm up del Gp del Germania del 1993, sotto la pioggia infida e traditrice di Hockenheim, fu protagonista di un altro incidente molto simile: nel senso che anche in quel caso si trovò a sfilarsi dalla macchina, la Footwork quella volta, a testa in giù nella ghiaia.

Warwick in quell’occasione venne portato nell'infermeria del circuito per un controllo di rito. Il medico Sid Watkins tra i vari controlli fece anche quelli ai condotti uditivi, e con sua grande sorpresa trovò tracce di terra al loro interno. Il dottore un po' perplesso e un po' divertito gli mostrò alcuni granelli di quella terra:
"E' il tuo cervello?"
Derek Warwick senza scomporsi abbozzò un sorriso.
"No è ancora la terra di Monza, la riconosco."

Decisamente piloti di un’altra generazione …


DENNIS HULME DETTO L'ORSO
mercoledì 11 aprile 2012
Hulme nasce nella fattoria di tabacco di proprietà dei genitori a Motueka, nel sud della Nuova Zelanda, il 16 giugno 1936. È figlio di Alfred (24 gennaio 1911 – 2 settembre 1982), un personaggio molto noto in Nuova Zelanda per essere stato insignito della più alta onorificenza militare inglese, la Victoria Cross, durante la battaglia per l’isola di Creta nella Seconda Guerra Mondiale. In adolescenza Danny, terminati gli studi, si specializzò come meccanico in un’autorimessa di Te Puke, dove acquisì la prima esperienza che poi gli sarà così utile nella sua futura carriera.

Soprannominato l’orso per il suo carattere scontroso e taciturno debutta in Formula Uno il 30 maggio 1965, al volante di una Brabham-Climax, con la quale concluderà all'ottavo posto il suo primo Gran Premio ufficiale, in quanto aveva disputato alcuni eventi non validi per il mondiale, a Montecarlo. Dopo l'assenza in Belgio ritorna di gran carriera il 27 giugno dello stesso anno, sfiorando il terzo gradino del podio nel GP di Francia. In Gran Bretagna è costretto invece al ritiro, mentre in Olanda conquista il quinto posto. L'anno successivo è confermato in Brabham. Ottiene quattro podi, senza mai vincere, che gli valgono il quarto posto nella classifica generale.

Nel 1967 sfiora il successo nella prima gara in Sud Africa, a Kyalami, che perde per un'avaria ai freni a venti giri dalla fine. L'appuntamento con la vittoria è però solo rimandato e Hulme vince il suo primo gran premio a Monaco, evento ricordato tragicamente per l'incidente in cui perse la vita Lorenzo Bandini. Nelle gare successive il pilota neozelandese arriva costantemente a podio, ma è battendo il suo compagno Jack Brabham, sul difficilissimo circuito del Nurburgring, che appare chiara la volontà di Hulme di conquistare il mondiale. Denny vuole quindi il titolo anche se ciò significa ribellarsi agli ordini di squadra che vorrebbero favorire lo stesso Brabham, patron della scuderia. Il finale della stagione è una lotta tra i due piloti della Brabham e Jim Clark che deve tuttavia abbandonare i suoi propositi mondiali per via delle numerose rotture della nuova e velocissima Lotus 49. La stagione si conclude in Messico con Hulme che diventa campione del mondo di Formula 1 arrivando terzo, dietro ai due rivali. Questo titolo mondiale provoca però le ire di Jack Brabham, beffato in classifica generale di soli cinque punti, che a fine stagione lascia a piedi il neozelandese.

Dopo questo nel 1968 Hulme si accasa alla McLaren, con cui, vincendo sui circuiti di Monza e Mont-Tremblant, rimane in lizza per il titolo fino all'ultima gara (in Messico) concludendo al terzo posto nella classifica generale. L'anno successivo Hulme è quasi sempre tra i più veloci ma una lunga serie di guasti meccanici lo priva spesso del podio: solo all'ultimo appuntamento otterrà la vittoria a Città del Messico.

Il 1970 inizia bene per il neozelandese che arriva secondo al gran premio del Sud Africa, primo appuntamento stagionale, tuttavia pochi mesi più tardi il suo compagno di team e titolare Bruce McLaren, perde la vita in gara. La squadra, sconvolta per la perdita del suo fondatore, troverà in Hulme l'uomo che la traghetterà fino all'epoca Fittipaldi.

Infatti, superata la terribile stagione 1971, in cui il team versava in una profonda crisi tecnica e organizzativa, Hulme mostrerà un forte potenziale velocistico e tattico, conquistando sempre almeno una vittoria a stagione e raccogliendo numerosi piazzamenti a podio. Un esempio del valore di questo pilota fu la vittoria al gran premio di Svezia ad Anderstorp nel 1973 in cui, avendo scelto pneumatici di mescola più dura, fu protagonista una strepitosa rimonta e superò Ronnie Peterson al penultimo giro. Grande regolarista dava il meglio di sè in gara ed era sempre pronto a sfruttare i passi falsi degli avversari, come quando vinse il gran premio del Sud Africa a Kyalami nel 1972, spezzando un digiuno, suo e del team, di più di due anni. Va tuttavia fatto notare che il campione neozelandese guidò spesso macchine affidabili ma non velocissime e l'unica pole che Hulme ottenne fu proprio in Sud Africa nel 1973, quando portò al debutto la leggendaria McLaren M23.

Nel 1974 il promettente pilota americano Peter Revson, che era stato suo compagno di squadra nelle ultime stagioni, perse la vita nei test a Kyalami. Questo episodio, unito alla pericolosità delle gare di quel periodo, spinse il pilota neozelandese al ritiro, dopo aver vinto otto gran premi, l'ultimo proprio in quell'anno a Buenos Aires, quando ancora una volta, fu pronto ad approfittare di un'avaria meccanica per superare un giovane Carlos Reutemann all'ultimo giro.

Terminata la carriera agonistica, si ritirò in Nuova Zelanda e si dedicò ad attività commerciali placando la sete di corse al volante di vetture Turismo e gare nazionali a partire dal 1978, stabilendo un rapporto di collaborazione con il Team del pilota scozzese Tom Walkinshaw. Trovò il tempo per dedicarsi ai suoi passatempi preferiti: sci d’acqua e golf, più il nuoto che praticava però solo quando l’acqua era almeno a una temperatura di 22 gradi. La vita di Dennis, oltre che grandi successi riservò purtroppo grandi amarezze e dolori. Nel giorno di Natale 1988 il suo unico figlio Martin cadde nel lago vicino a casa in Nuova Zelanda e vi trovò la morte annegando.

Nell’ottobre del 1992, il destino volle che la sua carriera sportiva e la sua vita arrivarono al capolinea insieme. Mentre guidava la sua Bmw M3 a bassa velocità nella 1000 Km di Barthust in Australia Hulme ebbe un malore, riusci a parcheggiare la vettura a bordopista e ad avvisare i box, poi venne colto da un infarto. Venne sepolto al cimitero di Dudley a Te Puke, accanto all’adorato figlio Martin.

CHRIS HORNER: CRONOLOGIA DI UN VINCENTE
03 aprile 2012

Horner inizia la carriera automobilisca giovanissimo sui kart; alla fine del 1991 vince una borsa di studio per poter disputare con la Manor Motorsport in Formula Renault la stagione 1992. A fine stagione risulterà essere il miglior rookie, cogliendo anche un successo.
Nel 1994 passa in Formula 3 inglese con il la scuderia Fortec e l’anno seguente approda al team ADR.
Nel 1996 gareggia sia in F3000 che in Formula 2 con il team TOM’S.

Il 1997 è l’anno della prima svolta professionale. A soli 24 anni decide di fondare la scuderia Arden International, partecipando al campionato di Formula 3000 in veste sia di pilota che di manager. Il miglior risultato lo ottenne a Jerez de la Frontera (Portogallo) nel fine settimana in cui Schumacher si suicida addosso a Jacques Villeneuve e perde il campionato. Horner arriva sesto, dieci posti più in alto rispetto al suo piazzamento medio: “Ci fu un incidente che eliminò un bel po’ di macchine. La categoria all’epoca era competitiva, quindi per me fu un buon risultato. Ma solo perché alla fine della gara io ero ancora là e gli altri no”.

Due stagioni più tardi decise di appendere il casco al chiodo: “A 24 anni ho avuto il coraggio di dire a me stesso che non ero abbastanza veloce come gli altri contro cui gareggiavo, gente del calibro di Juan Pablo Montoya, Tom Kristensen, Pedro De La Rosa e Nick Heidfeld. Ho preferito concentrarmi sul’attività menageriale, continuando come proprietario della Arden

In sei anni, con la sua innovativa metodologia di lavoro e la sua tenacia, portò l’Arden ad essere una squadra imbattibile. Vinse in F3000 il titolo costruttori nel 2002-2003 e 2004, mentre il titolo piloti nel 2003 con lo svedese Bjorn Wirdheim e nel 2004 con l’italiano Vitantonio Liuzzi.
Horner è anche stato lo scopritore di Heikki Kovalainen, Sébastien Buemi, Bruno Senna, Neel Jani e Tomas Enge.
La Arden ha preso parte anche ai campionati di A1 GP, GP2, GP2 Main Series e GP2 Asian Series, GP3, Formula 3.

Verso la fine 2004, sull’onda del successo viene notato e messo sotto contratto da Dietrich Mateschitz che sta per fondare la scuderia Red Bull Racing in Formula Uno sulle ceneri della defunta Jaguar. Così a soli 36 anni è diventato il team principal più giovane di tutti i tempi: “Non smetterò mai di essere riconoscente a Mateschitz per l’opportunità che mi ha concesso e per tutta la fiducia che ha riposto in me”

Dopo un avvio difficile nel 2006 arriva il primo podio con David Coulthard nel Gran Premio di Monaco (memorabile il suo tuffo in piscina vestito solo del mantello di Superman – ndr) e dal quel punto in poi è stato solo un lento ma inesorabile risalire verso la vetta della Formula Uno, grazie anche ad Adrian Newey e Sebastian Vettel che porteranno la Red Bull alla conquista di due campionati costruttori e due piloti.

Guradando indietro Chris non ha rimpianti per aver abbandonato così precocemente la carriera da pilota: “Mi trovo molto meglio adesso, dietro ad una scrivania rispetto a quando stavo dietro il volante". Ma avverte: "Se oggi provassi la Red Bull RB7 che ha vinto il mondiale?, fisicamente non potrei durare più di 10 giri ma girerei solo qualche secondo più lento dei nostri attuali piloti.”
Se lo dice lui c’è da crederci …

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